Le
mucche erano munte di mattina presto e nel tardo
pomeriggio. Durante la mungitura, nella stalla o
all'aperto durante la stagione estiva negli alpeggi, i
mungitori, posti di lato rispetto all'animale, stavano
seduti su un apposito sgabello rotondo o ovale con una
gamba sola, lo scagn
. Tenendo occupate entrambe le
mani si appoggiavano sul fianco della vacca con la testa.
Il latte veniva raccolto entro un secchio tenuto
tra le gambe, il segîn,
generalmente in legno. Il latte veniva portato alla casera, la casine, per
la lavorazione, con gli stessi secchi o se la casine
era lontana per mezzo
di particolari contenitori per il trasporto a spalla, chiamati bréntâl.
Per misurare la quantità di latte portata in casine
dai singoli proprietari si usava un bastoncino di legno,
il moél.
Il latte
era filtrato attraverso il cöl, un
catino circolare di legno sul cui fondo c’era una
retina dove passava il latte per essere pulito da eventuali
impurità. Il
col poggiava sulla tréne
, un piccolo telaio a due montanti, posto sopra i
contenitore in rame stagnato, la conche.
Le varie conche erano poste al
fresco su vasche in pietra o cemento, in cui talvolta scorreva anche dell’acqua
di sorgente per mantenere bassa la temperatura. Tutto
questo procedimento, serviva per far affiorare la panna
vale a dire la parte grassa del latte . Il casaro più
esperto procedeva all’operazione della scrematura nelle
conche per la preparazione del burro. (vedi
pag.2: il burro).
Intanto l’altro casaro preparava la
coldëre dove
era versato il latte scremato, se si voleva ottenere un
formaggio magro. Se si voleva ottenere un formaggio
semigrasso si miscelava il latte scremato con quello
intero. La coldëre veniva
spinta sul fuoco per mezzo di un braccio di legno girevole
chiamato scigógne. Quando il latte raggiungeva
la temperatura di circa 34/37 gradi, si toglieva il grosso
recipiente dal fuoco e si versava il caglio, ricavato
dalla stomaco del vitello o del capretto lattante. Lo si lasciava riposare lontano da
fonti di calore e sotto l'azione dell'enzima la massa
bianca si trasformava in cagliata. La coldëre
veniva controllata di tempo in tempo con la paletta
apposita, che segnalava quando la superficie bianca
s’increspava e tendeva a resistere: allora la cagliata
era pronta. Poi la cagliata veniva disfata col tarâí,
il frangi cagliata, un bastone ricavata da un ramo di
larice con più diramazioni. Il latte coagulato veniva di
nuovo riscaldato e rimescolato, ad una temperatura di
circa 40 gradi allo scopo di disidratare il coagulo, cioè
far uscire il siero dalla cagliatata . Quando le particelle
solide cominciano a separarsi dal siero
e acquistavano la forma e la consistenza grumosa
desiderata (granuli più grossi per formaggi a pasta mole
e più piccoli per pasta dura), allora il casaro lasciava riposare la caldaia
finché la massa bianca del formaggio si raccoglieva
sul fondo
della coldëre, mentre il siero, cioè la
parte liquida stava sopra. Il casaro prendeva
allora tra i denti una
specie di grande tovagliolo di tela, il
patîn, si
curvava
sul
grande paiolo e raccoglieva sul fondo una massa bianca che
rimaneva per un po’ sospesa sul paiolo a
gocciolare. Questa massa bianca e morbida infine veniva posta nell’apposita
singèle ,
la fasciera di legno che deve dare la forma al
formaggio,
già posta sullo sprisòr,
la spersola o sgocciolatoio. Il casaro la
schiaccia
con forza perché si faccia compatta costringendo
il siero presente a fuoriuscire sullo sprisòr e attraverso
quest’ultimo in uno scarico. Per
favorire la fuoriuscita di tutto il siero veniva posto sulla
forma un disco di legno con sopra un peso e si
stringeva lateralmente la fasciera. Dopo pochi giorni la forma di formaggio veniva
liberata dalla fasciera e veniva salata
sia per facilitare la conservazione e in alcuni casi la
stagionatura. Per farlo stagionare, lo si metteva in un
luogo fresco della casera su ripiani in legno vicino alla
parete e al riparo dalla luce solare. Di tanto in
tanto veniva risalato e rigirato con accuratezza sempre per favorire la
stagionatura.
L'ultimo prodotto della lavorazione del latte era la
ricotta, la mascarpe. La coldere viene risospinta sul fuoco e
nuovamente riscaldato il latte a cui è stato aggiunto
il
lacc dol beduul, cioè quel che resta della
centrifugazione della panna, a circa 75°. Si
aggiunge il siero vecchio e inacidito, che viene
conservato nell' agrèr.
Poco prima della ebollizione, la superficie del latte si
rifà ancora bianca e schiumosa e a poco a poco si rapprende dando origine alla
ricotta. La ricotta veniva
tolta con la schiumarola di rame e posta nel caròt,
un piccolo recipiente a doghe di legno bucherellato
posto a
scolare sullo sprisòr. La ricotta se
conservata viene salata o affumicata.
Ciò che rimane dopo la produzione della ricotta viene
raccolto in apposite tinozze e versata nell' âlbio,
il trogolo, come nutrimento per i maiali.
continua a pag. 2 : Il
burro
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