La semina
La semina avveniva a spaglio sulla terra rivolta con la
certezza di non gettare il seme troppo fitto altrimenti le
piante non avrebbero potuto svilupparsi bene. Alla
semina seguiva l'erpicatura, con un erpice di legno
trascinato da un uomo, grazie alla quale i semi venivano
ricoperti da un sottile strato di terra, ma a Premana si
provvedeva semplicemente con la zappatura con la sape. Allo
spuntare delle prime pianticelle, con una zappetta, detta sciarscéle,
si estirpavano (sciarlâ) le erbacce infestanti come
la gramigna (scòrs).
La
mietitura
Dalla
fine di luglio fin verso i primi di agosto, a
seconda dell'andamento climatico e della esposizione dei
campi, si svolgeva la mietitura. Gli steli, che
potevano raggiungere il metro e settanta di altezza,
erano tagliati con la falce (séghèzze). ll lavoro era svolto
dalle donne, prime che i chicchi delle spighe completamente
mature potessero disperdersi sul terreno durante la
mietitura. Gli steli tagliati venivano legati a
formare un covone. I covoni erano portati al
riparo nella parte alta del fienile (il sólâm) il cui
pavimento era composto da travi ben distanziate e le pareti
erano dotate di grandi finestroni a rastrelliera, le balconade
(vedi
il disegno di Codega Anacleto).o
semplicemente aperte, il tutto per facilitare
l'arieggiamento. Il trasporto dal campo al fienile si
faceva a spalla,
facendo attenzione a non perdere chicchi durante il
tragitto.
La trebbiatura
Quando i covoni erano completamente essiccati si procedeva
alla battitura nell' ère, l'aia, della casa rurale, per
staccare i chicchi dalla spiga. Questa operazione si
svolgeva possibilmente prima del secondo taglio del fieno,
al quale occorreva far posto nel fienile. Inizialmente i
covoni venivano sbattuti con forza contro il muro o
contro un basso tavolino inclinato detto scopadòor
per far cadere i chicchi più maturi, poi venivano slegati e
allineati in più file sul pavimento del fienile e battuti o
con due bastoncini uno per mano o con il correggiato, la verghe.
Quest'ultimo era composto
da un manico e da una vetta, un duro e tozzo bastone
più corto (circa un terzo del manico) legato al manico con
un laccio di cuoio che ne consentiva la libera
rotazione. Si doveva imprimere all'arnese un movimento
rotatorio e colpire con la vetta i covoni con ritmo regolare
e con dei movimenti perfettamente sincronizzati con
quelli dell'intero gruppo di battitori per evitare di
mettere in pericolo se stessi o gli altri. Il lavoro era
lungo e faticoso ma alleviato da canti e battute
scherzose. I covoni dovevano essere girati, dopo
la prima battitura, per consentire a tutti di ricevere le
battute del correggiato e i chicchi sul pavimento raccolti e
ammucchiati di volta in volta in un angolo, perché si sarebbero rovinati col
procedere della battitura. Terminata questa operazione, la
paglia era raccolta e legata. In seguito era utilizzata
come foraggio per il bestiame
giovane. In tutti i casi la paglia veniva tritata a mano con
un trinciaforaggi, detto trida
paie . La
paglia poteva anche servire per riempire i sacconi del
letto, cioè i pagliericci gli antenati degli odierni
materassi.
Successivamente si
passava alla spulatura,cioè al distacco della pula,
l'involucro che riveste il chicco, effettuata
manualmente con il vaglio, il val, un cesto di vimini
con due manici, munito su tre lati di sponde rialzate per
raccogliere il cereale e aperto sul davanti . Questa operazione doveva essere
svolta all'aperto in presenza di una corrente d'aria:
occorreva afferrare con forza i due manici del vaglio
appoggiandolo al basso ventre e sollevarlo rapidamente per
gettare il contenuto verso l'alto e raccoglierlo durante la
caduta, mentre il vento ne asportava la pula.
segue
a pag.3
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