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Vandador

Antico mulino da  P. Scheuermeier: Il lavoro dei contadini, Longanesi, Milano 1996

Tramoge

Burat

Antico forno di Premana

 

La vagliatura meccanica avveniva invece con un vandadór (ventilabro i cui uso era gią diffuso nell'arco alpino gią all'inizio del Settecento. L'attrezzo era formato da un cassone munito internamente da una ventola azionata da una manovella. Sopra al cassone si trovavano una larga bocca, simile ad una tramoggia nella quale si versavano i chicchi. Grazie alla vibrazione trasversale di una rete metallica che si trovava all'interno,mossa dalla manovella che metteva in moto l'intero ingranaggio, veniva staccata la pula dai chicchi. La pula e le pagliuzze, investite dalla corrente d'aria create dalle pale del ventilabro venivano spinte fuori, cadendo pił o meno lontano secondo il volume e il peso. I chicchi invece cadevano lungo un piccolo piano inclinato su un telo posto a terra. Sassolini e piccoli semi di altre piante erano eliminati dal ventilabro, ma l'operazione richiedeva anche ulteriori passaggi in crivelli a trama sempre pił fitta e attenti interventi manuali. 
Infatti nella segale si potevano trovare anche numerosissimi funghi tra cui la pericolosa  sclerozi della segale cornuta ( pił frequente se la stagione estiva era state umida), che appariva come un corpo duro nero che si formava all'altezza delle spighe. In questo fungo si trovava un alcaloide (la dietilammide dell'acido lisergico, LSD), che produce effetti allucinogeni con danni spesso gravi per i tessuti cerebrali. Se nella farina questi funghi superavano il 5%,  il pane addirittura rappresentava un pericolo  per la salute. Anche le segale cornuta era certosinamente separata dal seme anche perché  era venduta ai farmacisti che la impiegavano per la preparazione di prodotti medicinali.
Alla fine di tutte queste operazioni si poteva stimare finalmente il raccolto, la cui resa  dipendeva dalla stagione, dalla fertilitą, dall'esposizione e altitudine dei campi e  poteva variare da nove volte il seminato, nelle stagioni migliori, a  tre nelle peggiori. A Premana pare fosse piuttosto scarsa, pari a tre volte il seminato.
Il cereale dopo la mietitura, sufficientemente secco, era  misurato con  il penąc, corrispondente ad un mezzo staio  e veniva conservato in  cassoni , il bancaal,  prima di essere portato al mulino.

Macinazione
I mulini azionati da ruote idrauliche erano numerosi anche a Premana, lungo il corso del torrente Varrone e la loro attivitą era incessante e interrotta soltanto dalla scarsitą di acqua nei mesi invernali. L'abbandono delle colture cerealicole, alcune alluvioni disastrose e una diversa canalizzazione delle acque hanno portato al progressivo abbandono dei vecchi mulini e al loro inevitabile degrado. Nel territorio di Premana esistono ormai solo dei ruderi,  a testimoniare un' epoca in cui queste antiche macchine avevano una grande importanza nella vita della comunitą.
L'acqua giungeva ai mulini attraverso un complesso sistema di canalizzazione e cadeva sulla grande ruota  a cassetti.  Il movimento rotatorio, impresso all'asse della ruota,  da verticale veniva trasformato in orizzontale da un ingranaggio che, a sua volta,  metteva in moto una macina in pietra che ruotava sopra una fissa. La macina mobile aveva la faccia inferiore (quella rivolta alla macina fissa) leggermente convessa, in modo tale che tra le due macine rimanesse una leggera distanza, che variava da alcuni millimetri nella parte centrale, per facilitare l'ingresso del cereale, fino a mezzo millimetro verso l'esterno. La distanza poteva essere comunque regolata per variare la grossezza della farina.
I chicchi, che cadevano nel foro centrale della macina mobile,  per azione della forza centrifuga, erano spinti verso l'esterno e frantumati. La macina mobile, per proteggere chi si avvicinava e impedire la fuoriuscita della farina dai bordi delle macine, era ricoperta da una cassa il legno, munita da una apertura centrale. Quest'ultima permetteva la caduta del cereale nella bocca della macina. La segale da macinare era contenuta nella tramoggia, la
trémöge,  un imbuto di legno a forma di tronco di piramide rovesciata, che si trovava sopra la macina.. Dalla tramoggia i chicchi venivano convogliati verso il foro della macina tramite la tafferģa, una specie di piatto mobile, collegato alla tramoggia, la cui inclinazione era regolabile e  proprio questo determinava la quantitą di cereale che cadeva nel foro della macina.
La farina macinata, attraverso un ripido canaletto, passava nel buratto, il sedąsc che si trovava a fianco ma pił in basso rispetto alle macine, e  qui era setacciata. Questo attrezzo, a forma di prisma esagonale era adagiato orizzontalmente e ruotava sul proprio asse, grazie al movimento impresso da una cinghia collegata alla macina. I rivestimenti interni al buratto avevano trame diverse: finissima per la farina di prima qualitą; pił larga per quella di seconda qualitą destinata  comunque alla alimentazione umana ed eventualmente un terzo per il cruschello destinato agli animali. 
Terminata la macinatura, la farina veniva introdotta una sacchi di tela di lino mentre la crusca veniva messa negli stessi sacchi grezzi usati per il trasporto al mulino.  Da un quintale di segale si potevano ricavare circa 40-45 Kg di farina fine di prima qualitą che potevano diventare circa 65 Kg rimacinando il residuo.
Il mugnaio lavorava intensamente nei mesi autunnali e veniva pagato in natura con una parte della stessa farina macinata.
La farina infine, di settimana in settimana, era portata al forno. Ne esiste ancora uno in paese (vedi foto), in quella che un tempo era la Piazza del Comune. Dal forno si riportavano a casa un certo numero di pagnotte o buscéi, del peso di circa sei-sette etti, che si conservano freschi e teneri per diversi giorni.