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La vagliatura meccanica avveniva invece con un vandadór
(ventilabro ) i cui uso
era gią diffuso nell'arco alpino gią all'inizio del
Settecento. L'attrezzo era formato da un cassone munito
internamente da una ventola azionata da una manovella. Sopra
al cassone si trovavano una larga bocca, simile ad una
tramoggia nella quale si versavano i chicchi. Grazie alla
vibrazione trasversale di una rete metallica che si trovava
all'interno,mossa dalla manovella che metteva in moto
l'intero ingranaggio, veniva staccata la pula dai chicchi. La pula e le pagliuzze, investite
dalla corrente d'aria create dalle pale del ventilabro
venivano spinte fuori, cadendo pił o meno lontano secondo
il volume e il peso. I chicchi invece cadevano lungo un
piccolo piano inclinato su un telo posto a terra. Sassolini
e piccoli semi di altre piante erano eliminati dal
ventilabro, ma l'operazione richiedeva anche ulteriori
passaggi in crivelli a trama sempre pił fitta e attenti interventi
manuali.
Infatti nella segale si potevano trovare anche
numerosissimi funghi tra cui la pericolosa sclerozi della segale cornuta
( pił frequente se la stagione estiva era state umida), che
appariva come un corpo duro nero che si formava all'altezza
delle spighe. In questo fungo si trovava un
alcaloide (la dietilammide dell'acido lisergico,
LSD), che produce effetti allucinogeni con danni spesso
gravi per i tessuti cerebrali. Se nella farina questi funghi superavano il 5%,
il pane addirittura rappresentava un pericolo per la salute. Anche
le segale cornuta era certosinamente separata dal seme anche perché
era venduta ai farmacisti che la impiegavano per la preparazione
di prodotti medicinali.
Alla fine di tutte queste operazioni si poteva stimare finalmente
il raccolto, la cui resa dipendeva dalla stagione, dalla fertilitą,
dall'esposizione e altitudine dei campi e poteva variare da
nove volte il seminato, nelle stagioni migliori, a tre
nelle peggiori. A Premana pare fosse piuttosto scarsa, pari
a tre volte il seminato.
Il cereale dopo la mietitura, sufficientemente
secco, era misurato con il penąc,
corrispondente ad un mezzo staio e veniva conservato in
cassoni , il bancaal, prima di essere portato al mulino.
Macinazione
I mulini azionati da ruote idrauliche erano numerosi anche a
Premana, lungo il corso del torrente Varrone e la loro attivitą
era incessante e interrotta soltanto dalla scarsitą di acqua nei
mesi invernali. L'abbandono delle colture cerealicole, alcune
alluvioni disastrose e una diversa canalizzazione delle acque
hanno portato al progressivo abbandono dei vecchi mulini e al loro
inevitabile degrado. Nel territorio di Premana esistono ormai solo
dei ruderi, a testimoniare un' epoca in cui queste antiche
macchine avevano una grande importanza nella vita della comunitą.
L'acqua giungeva ai mulini attraverso un complesso
sistema di canalizzazione e cadeva sulla grande ruota a
cassetti. Il movimento rotatorio, impresso all'asse della
ruota, da verticale veniva trasformato in orizzontale da un
ingranaggio che, a sua volta, metteva in moto una macina in
pietra che ruotava sopra una fissa. La
macina mobile aveva la faccia inferiore (quella rivolta alla
macina fissa) leggermente convessa, in modo tale che tra le due
macine rimanesse una leggera distanza, che variava da alcuni
millimetri nella parte centrale, per facilitare l'ingresso del
cereale, fino a mezzo millimetro verso l'esterno. La distanza
poteva essere comunque regolata per variare la grossezza della
farina.
I chicchi, che cadevano nel foro centrale della macina
mobile, per azione della forza centrifuga, erano spinti
verso l'esterno e frantumati. La macina mobile, per proteggere chi
si avvicinava e impedire la fuoriuscita della farina dai bordi
delle macine, era ricoperta da una cassa il legno, munita da una
apertura centrale. Quest'ultima permetteva la caduta del cereale
nella bocca della macina. La segale da macinare era contenuta
nella tramoggia, la trémöge,
un imbuto di legno a forma di tronco di piramide rovesciata, che
si trovava sopra la macina.. Dalla tramoggia i chicchi venivano
convogliati verso il foro della macina tramite la tafferģa, una
specie di piatto mobile, collegato alla tramoggia, la cui
inclinazione era regolabile e proprio questo determinava la
quantitą di cereale che cadeva nel foro della macina.
La farina macinata, attraverso un ripido canaletto, passava
nel buratto, il sedąsc
che si trovava a fianco ma pił in basso rispetto
alle macine, e qui era setacciata. Questo attrezzo, a forma
di prisma esagonale era adagiato orizzontalmente e ruotava sul
proprio asse, grazie al movimento impresso da una cinghia
collegata alla macina. I rivestimenti interni al buratto avevano
trame diverse: finissima per la farina di prima qualitą; pił
larga per quella di seconda qualitą destinata comunque alla
alimentazione umana ed eventualmente un terzo per il cruschello
destinato agli animali.
Terminata la macinatura, la farina veniva introdotta una sacchi di
tela di lino mentre la crusca veniva messa negli stessi sacchi
grezzi usati per il trasporto al mulino. Da un quintale di
segale si potevano ricavare circa 40-45 Kg di farina fine di prima
qualitą che potevano diventare circa 65 Kg rimacinando il
residuo.
Il mugnaio lavorava intensamente nei mesi autunnali e veniva
pagato in natura con una parte della stessa farina macinata.
La farina infine, di settimana in settimana, era portata al forno.
Ne esiste ancora uno in paese (vedi foto), in quella che un tempo era la Piazza
del Comune. Dal forno si riportavano a casa un certo numero di
pagnotte o buscéi, del peso di circa sei-sette etti, che
si conservano freschi e teneri per diversi giorni.
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