Prima che il carbone fossile e l'energia elettrica sostituissero il carbone vegetale negli impieghi industriali, la produzione del ferro aveva bisogno di grandi quantità di carbone per fonderlo negli altiforni, per raffinare il minerale grezzo, per riscaldarlo ad alte temperature e renderlo lavorabile. La produzione del carbone da legna dipendeva a sua volta dalla disponibilità di legname, procurato attraverso il taglio del bosco. Lo sfruttamento del bosco per produrre carbone fu talmente intenso che in epoca asburgica si emanarono provvedimenti per tutelare il patrimonio boschivo della Valsassina e della Val Varrone seriamente intaccato nei secoli. La preparazione e la cottura della carbonaia, ol poiatt, dal latino podium, piccolo rilievo di forma tondeggiante) richiedeva la conoscenza della qualità del legname, dell'andamento delle stagioni, delle condizioni metereologiche, dei venti della zona, ma soprattutto una lunga esperienza. La legna tagliata era raccolta nei pressi delle tante jaal , dei grandi prati il cui fondo veniva livellato, che punteggiavano le aree boschive delle valli. Quindi veniva piantata la perteghe un lungo sottile bastone che serviva per impostare la costruzione del camino, il condotto verticale che funzionava da canale di accensione e tiraggio, la casole. Intorno a questa Il legname era ordinato su due ripiani ( la olte de sore e la olte de sot ) facendo attenzione a non lasciare spazi vuoti, dosando il legname grosso e minuto e distribuendo le varie essenze. Sistemato tutto il legno, ol poiatt,veniva ricoperti con un miscuglio di terriccio, fieno e foglie, il patosc che era pressato col badile. Questo rivestimento fungeva da isolante per bloccare la fuoriuscita del calore e impediva l' ingresso dell' aria, specie in presenza di venti anche leggeri. A questo punto la carbonaia era pronta: una semisfera alta 2 metri e dal diametro di 8-10 metri. Per l' accensione del poiatt,si preparava un braciere e lo si versava nella camera di combustione, all'interno della carbonaia. Quando la combustione era avviata (le temperature erano vicine a 500°) la si alimentava versando nella casole dei pezzettini di legno, i gnoch. Questa operazione veniva ripetuta più volte per rendere la combustione interna uniforme e consistente. La cottura del poiatt era estremamente delicata: bisognava stare attenti che la catasta non prendesse fuoco; occorreva alimentarla a seconda delle necessità; controllare l' andamento della combustione e proteggere la carbonaia dai venti, che nelle valli prendono direzioni diverse nel corso della giornata. L' abbassamento della carbonaia segnava a che punto fosse la cottura e il il pennacchio di fumo non più color cenere ma azzurrino indicava che la combustione era terminata. La combustione richiedeva da 3/4 giorni fino a 15. Verso il termine della cottura si richiudevano i buchi praticati nel cono, si tappava completamente il cono in modo da spegnere e raffreddare il carbone. Uno dei due carbonai, girando attorno al poiatt con il rastrello scostava il terriccio ed estraeva il carbone; l' altro seguiva col badile e provvedeva a ricoprire di terra la zona intaccata. Il cono veniva smantellato a poco a poco fin quando si giungeva al centro, dove il carbone era più minuto e più sbriciolato per le alte temperature raggiunte al centro della carbonaia. Il carbone era lasciato raffreddare e poi insaccato nella bisache, un sacco chiuso con dei cavac, dei legnetti con cui si avvoltolava il bordo e su cui era inciso il peso. In base al peso era pagato il lavoro dei trasportatori, che caricavano nella gerla due sacchi per un peso totale di sessanta-settanta chili.